martedì 28 agosto 2012

Il sabato della farinata

La farinata, come ci dice Wikipedia, "è una torta salata molto bassa, preparata con farina di ceci, acqua, sale e olio di extravergine di oliva. Si cuoce in forno a legna, in teglia, e assume con la cottura un vivace colore dorato."
Regina della cucina povera ligure, benché con alcune varianti sia presente nella tradizione culinaria di molte regioni del mediterraneo, la farinata va gustata calda appena uscita dalla fornace, con un buon bicchiere di vino bianco fresco e leggero. Per inciso, la farinata è una cosa buonissima: calda, croccante, profumata.

Ora, succede che il io abbia avuto la fortuna di potere eleggere come mio buen retiro un paesino dell'appennino ligure-emiliano, un villaggetto sperduto e arroccato sui monti dove fin dalla più tenera età ho potuto frequentare sentieri e pascoli, vacche e cavalli, paesani e cacciatori, e dove il silenzio e i ritmi di vita rigenerano e ritemprano spirito e membra.
Da questo paesino, di cui ometterò il nome per preservarne il prezioso isolamento e per evitare che orde di turisti milanesi vengano a depravarlo alla ricerca di una qualche posticcia esperienza di vita rurale, agli inizi del secolo scorso furono in tanti a emigrare per cercare fortuna e vita altrove: per ragioni geografiche Genova e in generale la costa ligure costituirono il primo approdo per questi giovani uomini e giovani donne che, scesi dalle montagne e con qualche straccio in una valigia di fortuna, andarono a installarsi lì sulle rive del mare. Nel capoluogo ligure parecchi di questi migrantes nostrani trovarono occupazione in forni e cucine, e pian piano svilupparono grandi conoscenze e abilità, tanto che in breve numerosi tra loro arrivarono ad aprire attività commerciali: non sono pochi i forni e le panetterie che, nel secolo scorso, vantavano proprietà appenniniche, luoghi di artigianato e fatica dove si impastavano e cuocevano e servivano focacce e pasta fresca e soprattutto da dove ogni giorno incalcolabili quantità di farinata uscivano in cartocci che presto venivamo aperti e subito svuotati.
Tornati nella terra natìa, ça va sans dire, le abitudini non si persero: non esiste dimora di emigrati, in paese, che non abbia il suo bel forno a legna, esibito con orgoglio a ricordare i sacrifici e i successi di gioventù.
Proprio davanti a casa, che lo vedano tutti, e con la bocca larga, per carità: che le teglie per la sacra torta hanno diametri ben più lunghi del comune.
Tutto questo per dire che ogni anno, là sui miei monti, si organizza a fine estate la serata della farinata: è il momento culmine del nostro agosto, quello in cui tutto il paese si attiva, i vecchi si tengono vicino i ragazzi di oggi e tramandano i segreti del buon impasto e della perfetta cottura, le giovani villeggianti si mischiano alle donne del paese per preparare le tavole e coordinare il servizio, e tutti a inizio sera ci si ritrova nella microscopica piazzetta, ci si sistema dove capita e vicino a chi capita e si aspetta che da qualche parte in paese un forno abbia cotto la prima farinata. E' una serata intima, alla quale si dà poca pubblicità giù per la valle, che si debba poter parlare con calma e con tutti, e che si possa applaudire tutti insieme il giro d'onore che i cuochi, inevitabilmente, faranno tra i tavoli a notte ormai giunta.
Dunque dopo settimane di lunga e elettrica attesa, fatta di preparativi frenetici e molta eccitazione, sabato 25 agosto, tre giorni fa, il vilaggio era pronto.
Alla sera, la grande festa della farinata.

Ecco, arriviamo al punto.
Per qualche incomprensibile ragione il sottoscritto, esattamente sabato scorso, ha lasciato di primo mattino il suo paesello  - quando l'aria era ancora fresca ma il sole giallo e caldo e dove in tanti già stavano raccogliendo la legna per i forni - per scendere fino nell'afa cittadina, raccogliere qualche cosa da mettere nello zaino, sciropparsi un'ora e rotti di asfalto incandescente, salire su un aereo pieno di giovinastri molesti e eccitati, e arrivare infine nell'umidità di Bilbao, accolto da un cielo grigio, gonfio e minaccioso.
Questo capolavoro strategico ha avuto il suo culmine nelle due ore e mezza di noia assoluta che il vostro eroe ha patito sui gradini di Vistalegre, dove sei Alcurrucen inutili e vuoti e brutti hanno incontrato tre uomini svogliati e distratti. Ponce nella versione soporifera, Perera insopportabilmente periferico e superficiale, Fandiño demoralizzato e trasparente.
Nel momento in cui uscivo dall'arena, sconsolato e depresso, pensavo che a quell'ora, a 1315 km di distanza, stavano succedendo un sacco di cose molto migliori: il primo giro di farinata era ormai esaurito e la gente felice ne chiedeva ancora, i fornai si davano da fare e sudavano e ridevano, le ragazze in grembiule servivano nuove teglie sui tavoli, il cielo nero brillava di stelle bianche e luminose, le caraffe di vino passavano di mano in mano e il giovanotto alla fisarmonica stava attaccando le prime note della Cesarina.

Fottuta aficion.


(foto Ronda - Bilbao)


1 commento:

Anonimo ha detto...

Ma come? Perera ha tagliato due orecchie, e non ti sei divertito ? ;-)

Secondo l'illustre torero in questione,intervistato sul CORREO di Bilbao:
" Hay muchos "aficionados", le ruego lo escriba entre comillas, que se declaran "toristas", defensores del "toro-toro"...que demuestran muy poco respeto por los toreros."

Hai capito ? dannato torista !

Saluti.
Marco