domenica 13 marzo 2011

Perché andiamo a vedere la corrida







E' facile apprezzare l'antico o il moderno; ma solo nella capacità di apprezzare l'obsoleto si ha il trionfo del gusto autentico.

(NICOLAS GOMEZ DAVILA, In margine a un testo implicito, Bogotà 1977 - Ediz. ital. Adelphi 2001)


Perché ci vanno gli altri, non lo so, ognuno ha le sue buone ragioni.

Personalmente, dopo tanti anni, mi chiedo perché continuo ad andarci, non ostante tutto. Perché all’inizio è facile: lo spettacolo, se non sei pregiudizialmente ostile, attrae. Il toro è un animale totemico, mitico, dai primordi dell’umanità ha sempre suscitato rispetto, paura, e venerazione. Alla mia prima corrida sono andato perché ci volevo andare, avevo 16 anni, erano le mie prime vacanze in Spagna, e non potevo perdere l’occasione. Avevo letto “Fiesta” di Hemingway, e quello che sulla corrida scriveva la guida turistica sulla Spagna. Un capitoletto c’è sempre. Poi sono stato fortunato, i tori erano, o mi parvero, abbastanza forti e selvaggi, lo spettacolo brillante, i suoni, le musiche, i colori…

A posteriori, siccome ho conservato il “cartel” di quella mia prima corrida, credo di non essermi sbagliato troppo, i tori erano del Conde de la Maza, quindi più che dignitosi. I toreri, due onesti professionisti dell’epoca, più “il maestro indiscutibile del rejoneo”. All’epoca non sapevo che le corna dei tori per il “rejoneo” vengono legalmente spuntate, se no avrei ammirato con meno entusiasmo le evoluzioni del cavaliere davanti a loro.

Siamo in epoche lontane. La “plaza” di una capitale di provincia, una arena che ora è stata demolita per far posto a tristi palazzoni di appartamenti, perchè Gerona ora si chiama Girona, ed è in quella Catalogna che ora non vuole saperne di tori.

Insomma, mi piacque e volli ripetere. La seconda volta fu a Barcellona, e ricordo solo che finì con una pioggia di cuscini lanciati dal pubblico sull’ultimo torero, che aveva maldestramente finito l’ultimo toro con numerosi “pinchazos” ed ancor più numerosi “descabellos”. Trovai la cosa divertente (il lancio dei cuscini, non i “pinchazos”) perché un pubblico che partecipa, a modo suo, fa parte della Fiesta.

Poi le cose si complicano. Perché continui ad andare, ma vuoi capirne di più. Non solo come si volge la funzione, ma perché per esempio quel pomeriggio hanno dato due orecchie ad un torero, anche se ti è sembrato che, tutto sommato, i suoi tori non fossero un gran che (e ti sei pure un po’ annoiato) mentre un’altra volta hai vissuto attimi di emozione, e panico per le difficoltà dei tori, unita all’impotenza dei toreri, ed il giorno dopo leggi sulla cronaca locale che la corrida è stata disastrosa, per colpa dei tori. Poi ti rendi conto che chi ha scritto la cronaca è quell’impomatato che prendeva note le “callejon”, e la sera lo hai visto in un bar che rideva e scherzava con l’”apoderado” di un torero, davanti a un monumentale vassoio di gamberoni. Allora vuoi approfondire, leggi tutto quello che ti capita a tiro sulla materia, osservi quello che vedi nell’arena, parli con la gente, ed entri in una confusione mica male.

Ed è qui che inizia la tua rovina, perché se hai la fortuna, o sfortuna, di parlare con i vecchi “aficionados”, o di leggere i sacri testi (Paquiro, il Cossio, Corrochano, o i francesi Popelin, Juan Leal, El Tio Pepe) e poi fai il confronto con quello che vedi, ti rendi conto che fra l’essere ed il dover essere, c’è spesso un abisso, che il novanta per cento degli spettacoli taurini a cui hai assistito, e a cui assisterai, sono delle prese in giro. Se poi prendi il vizio di andare alla corrida a Madrid, magari nei “tendidos” fra il 6 e l’8, solo con ascoltare i commenti dei vicini, capisci perché ai tori non si va a divertirsi, ma per lo più si va a soffrire. O a vedere quello che capita, e poi leggere la cronaca dell’indimenticabile Joaquin Vidal, per dire, caspita, ha ragione, è stato proprio così. Mentre altre volte, leggevi altre cronache e pensavi: boh, sarà che sono stato in un’altra corrida, oppure non capisco niente.

E allora perché ci torni, se fa così schifo ? Buona domanda.

Con il tempo, intanto, cerchi di imparare qualcosa, e cominci ad evitare quegli spettacoli che a priori già sai che saranno… come saranno. Magari ti sbagli, e quel giorno il torero “eterna promessa di artista”, artista lo è per davvero, o esce un “sobrero” che poi diventa il toro della Feria. Ma sono rari i casi. E’ invece possibile che in una corrida, che tu hai deciso a tutti i costi di vedere perché i tori sono della “ganaderia” più “brava y encastada”, ed i toreri sono esperti “lidiadores”, quel giorno i tori non rispondano, o i toreri non siano in giornata. Oppure piove. E tira vento. Si mette tutto nel conto, la corrida è un rito, il rito è ripetitivo, persino in maniera maniacale, proprio per rassicurare l’uomo di fronte all’ignoto, all’incerto, al pericolo, alla natura bruta, che sono rappresentati dal toro, dal vento, dalla tormenta. L’uomo propone, il cielo dispone, ed il toro tutto scompone.

Sai, perché l’hai letto nei sacri testi, nelle cronache serie, lo hai visto nelle foto e nei documentari, spesso in bianco e nero, che la corrida può essere uno spettacolo grandioso e senza pari, rispetto a qualunque altra attività umana. Sai che muove le masse, ispira artisti, suscita ammirazione ed indignazione. Sotto il ciarpame senza pudore (l’espressione non è originale, ma rende l’idea) che normalmente viene proposto, c’è qualcosa di grande, ed ogni tanto, a saperlo vedere, viene fuori. Solo che tu, che ti sei addentrato sempre più nei meandri della conoscenza, cercando una verità che sai che è irraggiungibile, e forse non esiste (ma l’opposto della verità, la menzogna e l’inganno, esistono, rappresentati plasticamente dalla spada simulata, cioè “non vera”, con cui quello di turno sostiene la “muleta” ed incatena decine di volgari “derechazos” a un animale selezionato per essere un comodo collaboratore) ti rendi conto che sono pochi ad apprezzarlo.

E quando un “picador” come Fritero, davanti a un manso che non ne vuole sapere del cavallo, se ne sbatte della riga per terra, dietro cui normalmente sta il “picador”, e sprona il cavallo verso il centro del “ruedo” per andare a cercare il manso, scopri che mentre la massa protesta, ad applaudire siete in pochi. Tra cui, due file dietro di te, in un “tendido alto” (pagando il suo biglietto, e non nel “callejon”) il direttore di Toros, che sa che la famosa linea non è un limite invalicabile per il picador, ma è stata messa a suo tempo proprio su richiesta dei picadores, come limite a loro favore, oltre il quale non sono obbligati ad andare, perché più vanno oltre, più è pericoloso per loro.

O quando a Zaragoza vedi un toro “jabonero” di encaste Veragua partire da 40 metri per cinque volte per caricare il cavallo, e nel ”tendido 4” vecchi “aficionados” si abbracciano con le lacrime agli occhi, capisci che “el toreo es grandeza”. Quando a Cali, in Colombia, Cesar Rincon strappa tre serie di “muletazos” dei suoi, di fronte, a un manso complicatissimo e pericoloso, fra l’indifferenza quasi generale, ma l’attenzione ammirata di pochi (mentre prima gli altri hanno chiesto orecchie e coda per un torero volgare che ha fatto numeri da circo con le “banderillas”), capisci che sei perduto. Che ti sei giocato la possibilità di andare a una corrida per divertirti e fare festa, in cambio di pochi e solitari momenti in cui hai la sensazione che è qualcosa di sublime, che una buona lidia, quella che dal primo “capotazo” prepara il toro per la stoccata finale, è la materializzazione terrena, qui ed ora, del principio filosofico “ORDO AB CHAOS”.

Come la “faena” di Juan Mora a Madrid, il 2 ottobre 2010, poco più di quattro minuti di toreo puro, con la spada vera in mano, ed una stoccata da togliere il fiato. Meno male che a Madrid queste cose piacciono ancora.

Arrivi a livelli esoterici, e ti butti su sconsiderate letture, dai titoli terrificanti (e tutti rigorosamente veri) come “Il culto al Toro”, “Riti e giochi del toro”, “Analisi simbolica della tauromachia - Archetipi di una danza cosmica”, “La scuola più sobria di vita – Tauromachia come esigenza etica”, “Tauromachia e taurogogia”, “Para-taurinismo, papanatismo y para-manoletismo”. Tutto questo, dietro a un fenomeno che in fin dei conti è uno spettacolo organizzato a scopo di lucro, il primo nell’era moderna per cui si sono costruiti appositi edifici per poterlo vedere a pagamento (il circo romano era gratis, lo finanziava il governante di turno).

Ma c’è sempre il toro, il toro delle caverne preistoriche, il Minotauro, e l’uomo che lo affronta, con l’Arte e la Ragione, in una cerimonia rituale.

Quindi non è improprio parlare di sacri testi. E li leggi, per capire meglio quello che vedi. Ti viene un colpo quando apprendi che Joselito el Gallo, per la sua presentazione a Madrid come “novillero”, rifiutò i “novillos” che gli avevano preparato perché troppo piccoli, pretese ed ottenne tori di 4 anni destinati a toreri di alternativa. Proprio come ora, che quando un “novillero” ha tagliato qualche orecchia benevola in piazze benevole, se gli propongono una “novillada” con fama di dura, dice di no. Per fortuna, ci sono altri che accettano, “aficionados” che pagano per vederli. E così possiamo tornare alla corrida.

Diventi un esperto in araldica e genalogia taurina, compulsando la storia degli allevamenti. Allevamenti che poi cerchi di visitare, se ti interessano perché conservano la casta del vero “toro bravo”. E poi li vuoi vedere nell’arena. Capisci quanto lavoro e quanta dedicazione c’è dietro a un buon toro, che poi una “cuadrilla” di sicari vestiti da toreri - l’abito non fa il monaco - può polverizzare senz’arte né onore in pochi minuti. Assisti ogni anno all’estinzione di ferri mitici, alla scomparsa di “encastes” rari, emarginati in favore dei “collaboratori”, però gioisci quando leggi che hanno ammesso una “ganaderia” di casta Navarra nella Union degli allevatori. O ricevi, senza averlo chiesto, sulla tua posta elettronica, un dotto studio sulle origini della scomparsa casta Jijona, e così apprendi che esiste un’associazione che lotta per recuperarla. Da tempo hai abbandonato la lettura delle riviste taurine patinate, piene di rutilanti foto a colori, e ti sei abbonato ad una rivista con poche foto in bianco e nero, e fitta di testo, in francese. Insomma, due palle ! Già essere amanti della corrida è per definizione essere in minoranza (rispetto ai più che sono indifferenti, o antitaurini) ma essere la minoranza della minoranza...

E così per tornare a vedere qualche corrida, devi dedicarti ad una meditata ricerca (meno male che c’è internet) che quasi sempre ti porta in posti sperduti del Midi francese, in terre càtare e templari, dove si conserva nascosto da qualche parte il Santo Graal della tauromachia; o in quel che rimane della Valle del Terrore, nelle montagne che stanno fra Madrid, Avila e Toledo. O sperare che a Zaragoza, o ad Arles, l’impresa di turno, anche per pressioni dell’aficion locale, abbia la compiacenza di dedicare almeno qualche giorno di feria alla corrida di tori, e non al circo dei toreri. E che a Bilbao non cambino il presidente, che mantiene un minimo di rigore.

Si torna alla corrida, ma quanta fatica… a volte premiata, a volte no.

Ma il resto, è nulla.

Ve lo sconsiglio vivamente. Se non avete costanza, abnegazione, spirito di sacrificio, e una buona dose di pazienza, non coltivate troppo la passione per la “verità tauromachica”. Se volete solo “divertirvi”, o credere di farlo, andate a Ferragosto a Malaga, vicino ci sono delle belle spiagge,la città in festa è allegra, ed alla Malagueta le orecchie cadono facilmente, quindi “vi sarete divertiti.”

Volete darvi un tono ? Fatevi l’abbonamento in “barrera sombra” alla Maestranza di Siviglia, di tori e toreri come si deve ne vedrete pochi, soprattutto nella settimana di Farolillos, ma le “faenas” che, qualunque cosa faccia il torero, non saranno contestate dal pubblico (ahh, i silenzi della Maestranza…) vi sembreranno bellissime, come poi leggerete sulla cronaca scritta dal viscido divoratore di gamberoni. Passerete una settimana indimenticabile alla Feria, e se avete la fortuna di conoscere qualcuno del “mundillo” che vi invita alla sua “caseta”, e poi a qualche “tienta” di lusso, potrete presumere di esservi immerso in pieno nell’ambiente. Forse riuscirete ad entrare nella corte di adulatori di un torero di moda. Ci sono sempre stati, fanno parte dell’arredamento.

Volete esagerare ? Trovate il modo di andare alla Goyesca di Ronda, dove si torea con i costumi di Armani, ed in “barrera” non manca mai la Duchessa d’Alba (mi è anche simpatica, ma quando in una stessa arena dove c’è lei ci sono anche io, vuol dire che io ho sbagliato posto). A Siviglia o a Ronda potrete anche avere seduto vicino a voi uno come Briatore, quindi capite che lo spessore culturale e umano dell’ambiente è inarrivabile. Vi divertirete, come al Billionaire.

Il toro ? ha servito, grazie. La lidia ? con cosa si mangia ?

Potete anche andare a Nimes.

Ahhh, Nimes, ci andavo anch’io, non lo nego, cercando quel poco di Victorino, o Palha, che si poteva vedere, e sorbendomi i fasti delle massime figure con animali d’indegna presentazione e peggiore casta. Ricordo un povero Domecq riservato a El Juli, che uscì dal toril come in preda ad attacchi epilettici, e cadde rantolando. Gli avevano solo messo la “divisa” !

Fino a che non ho scoperto Vic Fezensac (500 kilometri più in là) e Nimes è scomparsa da tutte le carte geografiche in mio possesso.

Per ragioni professionali ho conosciuto un signore di Torino, alto funzionario di un’organizzazione internazionale, che a Nimes ci è andato anche lui, tutti gli anni, per circa 15 anni. Scendeva all’Hotel Emperador, dove gli tenevano il posto da un anno all’altro, e gli procuravano anche l’abbonamento ai tori. In prima fila. Per questo fu intervistato sul quotidiano locale, e fra le altre cose dell’articolo, si diceva che andava sempre all’arena con un fazzoletto bianco nel taschino, per poter chiedere l’orecchia. Raccontò anche che una volta gettò il suo cappello, un costoso Panama, ad un torero, nel giro d’onore, e non gli fu restituito (perché quello che si getta, è un regalo). Era una bravissima persona, ed aiutò molto un giovane “novillero” locale di origini italiane. Parlando con lui, mi accorsi del suo stupore nell’apprendere, solo in quel momento, dopo anni di “barrrera” a Nimes, che la “suerte de varas” ha anche e soprattutto il compito di mostrare la bravura del toro. Non l’aveva mai saputo. Eppure aveva le sue ragioni, per tornare ogni anno. Mi è spiaciuto moltissimo, quando mi hanno detto che, qualche anno fa, è mancato.

Sono sicuro che ora sarà lassù, in un anfiteatro bianco, fra le nuvole, dove su una sabbia bianchissima, dei toreri vestiti di bianco, con “capotes” e “muletas” bianchi, accompagnati da picadores anch’essi di bianco, montati su cavalli bianchi, con picche senza punta (sostituita con un piumino bianco), compiono evoluzioni che ricordano le “suertes” taurine e “pegan pases” a immacolati toretti “ensabanados”, le cui bianche corna con riflessi dorati si sono sviluppate ad anello, a mo’ di aureola, e quindi sono inoffensive.

Sulle gradinate, un composto pubblico di anime beate, biancovestite, agitano bianchi fazzoletti per chiedere al presidente (un vecchio con la barba bianca) trofei simbolici, perché i toretti ovviamente vengono indultati per la vita eterna. Me lo immagino così, il suo paradiso.

Essendo io un peccatore, e un pericoloso eretico, quello stesso luogo sarà per me il mio inferno.

Mi volterò, e seduto dietro di me un noto critico taurino, conosciuto nell’ambiente come “La Lirio”, mi farà l’occhiolino, rivolgendomi un sorrisetto ed un salutino con la mano, con il mignolo alzato.

Oibò ! Lo so, in vita ho peccato, ho cercato la verità (irraggiungibile, e che forse non esiste) del toreo, e l’ho cercata nel toro. Devo averla proprio fatta grossa!


Marco Coscia


(foto Ronda - per inviare il proprio testo: alle5dellasera@tiscali.it)


4 commenti:

Anonimo ha detto...

E si scoprì che la minoranza della minoranza era piuttosto affollata...

bellissime parole Marco.

Marzia

Cristiano ha detto...

Olé Maestro!

Anonimo ha detto...

Io odio le corride...la gente ci va solo perchè è ignorante e non sanno cosa si nasconde sotto quello spettacolo...
Il toro viene viene tenuto al buio, sottoposto a droghe e purghe per indebolire le sue forze,
viene percosso sulle reni con sacchi di sabbia,gli viene cosparsa trementina sulle zampe per impedirgli di star fermo,
gli viene messa vaselina negli occhi per annebbiargli la vista ,
gli viene infilata della stoppia nelle narici e nella gola per impedirgli di respirare, alla fine gli vengono tagliate coda e orecchie...
Torturare e uccidere il toro non significa - come afferma una pseudocultura - "vincere" il male e le forze avverse della natura" ma significa solo SADISMO, IGNORANZA, VIOLENZA, BARBARIE.

Anonimo ha detto...

L'ignoranza è di chi crede a queste leggende urbane: la vaselina negli occhi del toro....puf! se un toro che non ci vede è più pericoloso per il torero, e poi come gli mettono il collirio ? avete idea di come ci si avvicina a un toro bravo ? La trementina sulle zampe, altra cazzata maiuscola, come la stoppa nelle narici e nella gola, o le percosse sulle reni.... Ben altre sono le frodi che a volte si si fanno, ma gli antitaurini ignoranti non le conoscono e ripetono la solita litania di luoghi comuni assurdi.

Prima di scrivere certe idiozie, bisognerebbe studiare di più l'argomento. E se non ti piace, stattene a casa tua