venerdì 12 novembre 2010

Quell'odore, a Barcellona


Un venerdì sera di metà luglio a Barcellona.
Prima volta a Barcellona, per inciso: la combinazione tra una corrida la domenica e le tariffe ryanair è stata convincente.
Bella città, ma imperfetta: cose grandiose ma sparpagliate qua e là, senza un'identità che faccia da collante, e con poca Spagna, troppa poca Spagna.

Aeroporto-bus-albergo.
Poi via a visitare un primo pezzo di città, in quello che rimane del pomeriggio.
Barcellona è colorata: i toni sgargianti e impazziti delle ceramiche di Gaudì, il blu del mare e il cupo mattone del gotico, l'arcobaleno dei frutti esposti sulle bancarelle e il giallorosso vivido della senyera.
Le piume degli uccellini nelle gabbie, le straordinarie idee di Mirò, iridescenze, luci, colori ovunque.

La prima giornata passa così, a passeggiare distrattamente e con un occhio furtivo alla guida, ramblas, barrio gotico, il mercato coperto, lì intorno insomma.

Dopo un paio d'ore è però chiaro che c'è un problema.
Di tori, neanche l'ombra.
Non una testa imbalsamata, non un cartel, non una foto, un richiamo, un'evocazione.
Va bene che siamo venuti anche per visitare la città, ma sono i tori ad averci spinto fin qua, domenica al pomeriggio saremo all'arena, ma sembra che quello della Monumental sia un segreto che custodiamo noi soli.
I tori resistono al limite sulle magliette e sui gadget pacchiani che i chioschi vendono ai turisti, simbolo di una Spagna che qui mai fu e che però danno al souvenir un brivido di consolatorio esotismo, icone di un'ideale di ispanità che è d'obbligo riportare a casa, come un inevitabile trofeo, quasi fosse che proprio quel turista ha vinto proprio quel toro stampato sull'accendino.
Andare a vedere una corrida a Las Vegas deve essere più o meno così, pensiamo.

Il pomeriggio volge al suo termine, il cielo fiammeggia del rosso del tramonto, e un paio di bicchieri annunciano e aprono la serata.
Non rimane che infilarsi da qualche parte per la cena.
Finiamo a Tapas 24, e ci va bene.
Atmosfera insieme popolare e cool, qui i piattini assumono una dignità nuova, si fanno interpretazioni in sedicesimi di una cucina vivace, fantasiosa e coraggiosa.
Una bottiglia di rioja blanco accompagna le nostre scelte, guidate dalla curiosità di assaggiare e provare, essenzialmente: hamburger al fegato grasso, toast al tartufo, mousse di cioccolato con olio extravergine, e poi ancora altro.

Bella giornata dunque, chiusa con la più piena soddisfazione di palato e pancia.
La menta del mojito per finire.
Ma manca qualcosa, sulla metro che ci riporta in albergo sappiamo che manca qualcosa.
Che poi per un aficionado, forse, quel qualcosa è tutto.
Si va a dormire così, con un retrogusto di incompiuto.

Fermata Monumental, che per una cuorisa combinazione l'albergo è proprio lì.
Fuori dal tubo sotteraneo, un silenzio irreale: sono lontani i clamori della città, è lontana la vita pulsante attorno al porto o quella frenetica nel barrio.
La Gran Via è percorsa, chissà perché, da poche e solitarie macchine.
Diamo un'occhiata: là in fondo la Torre Agbar, moderna e ambiziosa, e alle nostre spalle la Sagrada Familia, altrettanto moderna e altrettanto ambiziosa.
In mezzo, l'arena.
Il contrasto tra i tre elementi è sconvolgente è affascinante.
Ci avviamo verso l'albergo, l'aria è fresca, i pochi lampioni diffondono una luce calda e rarefatta.
Bella giornata, ma qualcosa è mancato.
Costeggiamo i muri dell'arena, per arrivare all'hotel.

E improvvisamente eccolo.
Come una piena di un fiume dopo le pioggie d'autunno, non chiede il permesso, arriva e tutto travolge.
L'odore.
Le narici sono possedute, l'olfatto violentato, il cervello va in fibrillazione.
Torna alla mente tutto, ogni immagine, ogni momento, ogni brivido.
Ogni perché.

Odore di tori, cavalli, animali.
Siamo davanti all'arena e ci fermiamo.
Da dietro quel muro di mattoni rossi, da là dentro, dai recinti, dagli stalli, arriva quell'odore, che è impossibile non riconoscere e al quale è impossibile opporsi.
Il profumo della paglia e del cuoio, l'odore dei muscoli, del crine, il tanfo dello sterco, l'odore della terra, del fango, ormoni, sudore, sangue, il profumo dell'erba ancora sotto gli zoccoli, l'odore di sabbia e di legno, quello del morso e dei paramenti, l'odore di testosterone, di eccitazione animale, adrenalina.
Siamo immobili ad annusare e riconoscere ogni sfumatura, ogni sensazione, ogni nota.
Da dietro quel muro arriva l'odore.

Ci sono i tori, ci diciamo.

Dai vieni, possiamo andare a dormire.


(foto Ronda - al Tapas 24)

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