domenica 28 novembre 2010

La luce pallida della luna




Non fosse altro per la straordinaria aneddotica che custodisce e continua ad alimentare, la tauromachia andrebbe ascritta sul serio a patrimonio dell'umanità.
Storie assolutamente vere e tanto incredibili alle quali solo forse gli aficionados sanno che è del tutto logico credere, nemmeno più tanto se ne stupiscono, loro che conoscono la magia unica dell'incontro tra l'uomo e il toro, l'inarrivabile e drammatica verità della corrida, l'ineguagliabile profondità di un'arte indescrivibile e unica.

Paco Ojeda fu uno dei toreri che fecero la storia della corrida negli anni '80.
Nel 1988 addirittura fece filotto a Nimes, toreando consecutivamente in tutte e cinque le corse della feria di quell'anno, compresa quella miureña.

Ancora oggi, intervistato, si emoziona ricordando la faena che impose a un toro de La Quinta, a Madrid.
Era il 30 maggio del 1983.
La bestia uscì dal toril lanciando occhiate precise in direzione del torero: vediamo se ti ci metti, con me, sembrava voler dire ad Ojeda.
L'arroganza del toro bravo.
Ojeda rispose con calma francescana, atrezzando una faena verticale fatta di tranquillità e autorità insieme.
Per gli ultimi passi la distanza tra i due avversari si era ormai ridotta, annullata, fatta inutile.
Il toro mise il muso addosso al corpo del maestro, lo guardò inchiodando i suoi occhi in quelli dell'uomo, gli annusò la giacchetta, con il corno giocò curioso con i pendagli del traje.
Ojeda immobile.
Qualche minuto dopo, passeggiava con le due orecchie alla mano lungo le assi di Las Ventas.

Oggi si commuove ripensando a quel toro e a quella faena.
E chissà se erano di emozione le lacrime che lo stesso Ojeda sostiene di aver visto bagnare gli occhi dei tori, ma solo di quei tori pienamente e totallmente coinvolti nella faena, implicati nel gioco, impegnati senza concessione.
Ma bisognava esser loro vicini, molto vicini, diceva il torero, per vederle.

Nell'ottobre del 1982 Paco Ojeda combatte sei tori in solitaria, alla Real Maestranza di Siviglia.
Quattro orecchie, e l'arena è lasciata attraversando la Porta del Principe come un surfista che cavalca le onde: la tavola le spalle di un volontario, i cavalloni le braccia della folla che lo acclama, lo tocca, lo chiama, lo bacia.
Un trionfo rotondo che autorizzerebbe una festa enorme, bere fino a sfiancarsi, festa per tutta la notte, che autorizzerebbe il torero ad abbandonarsi alla felicità senza limiti-
Ma il corpo, il corpo come lui oggi dice, glielo impedì: il corpo lo obbligò a salire in macchina, dirigersi in campagna e là toreare qualche vacchetta.
Solo, senza testimoni né applausi, sotto la luce pallida della luna.



(foto Ronda - Sergio Aguilar e un toro de La Quinta, Vic Fezensac 2009)

1 commento:

Eva Florencia ha detto...

Sí, é sicuramente il miglior modo di rubricare un grande trionfo a livello personale...essere solo te stesso in mezzo alla campagna e toreare senza pressioni di nessun genere...dopo aver sconfitto il miedo e aver toccato il cielo, la coscienza si merita la sua parte sotto l'intima luce della luna.