venerdì 29 ottobre 2010

Moratello e le sue foto




Christophe Moratello ha messo online le foto della sua temporada, qualche interessante galleria concentrata sulle corse del sudovest francese alle quali ha assistito.

Lo stesso Christophe Moratello è in questi giorni in Italia, qui da noi per una visita alle nostre zone: un minimo dovere di accoglienza ci impone di dedicarci con lui a bagordi di rigore e lunghe nottate di cibo e vino e chiacchiere taurine per festeggiare la sua calata nel Belpaese.

I già non troppo frenetici ritmi del blog ne risentiranno, inevitabilmente.


(foto Moratello)

mercoledì 27 ottobre 2010

Grande torero, grande uomo




Signori, Luis Francisco Esplà:

"Ci sono artisti il cui unico affanno è quello di durare, di finire in tutti i musei, e altri invece che solo li preoccupa creare, con forza: mi riconosco in questi.

Bere un buon vino, e chiudere gli occhi mentre lo stai bevendo, questo è essere ricco.

Il toreo è qualcosa di miracoloso, veicola valori che si stanno perdendo.
Essere fedeli all'etica del toreo, è questo che dà prestigio e credibilità.
L'essenza più intima del toreo à la necessità di dare risposta a una domanda dell'uomo, e di sminuire le sue inquietudini: il toreo è nato per avvicinare il problema della morte, sconguirarla, sradicarla durante il tempo della corrida.

La morte non mi importa, soilo mi preoccupa che mi faccia soffrire.

Mentre il torero può muoversi in un qual certo anacronosmo, il torero deve manegiare il presente, con un'altra differenza ancora rispetto alle discipline artistiche: il materiale, un materiale vivo che ha volume, e corna.
Il processo di creazione è una storia magica, e non c'è altra disciplina artistica che incorpori la volontà del materiale."

Queste ed altre meravigliose parole, in un'intervista pubblicata qua.

E poi il sorriso della foto qui sopra...c'è dentro tutto.


(foto di Juan Pelegrin)

martedì 26 ottobre 2010

Arena, il film


Arena è un film documentario del regista austriaco Gunter Schwaiger, uscito l'anno scorso e che ha fatto parlare di sé tanto nel circuito aficionado che in quello cinefilo.
Il film, con il pretesto di seguire da vicino le durezze della vita degli aspiranti toreri, introduce al mondo della corrida: nel corso della pellicola si viaggia dalla Spagna alla Francia al Sud America, incontrando toreri, apoderados, gli allievi delle scuole taurine e i loro professori, aficionados, subalterni, e altri ancora.

Non l'abbiamo ancora visto, e dunque rimandiamo la critica a tempi più saggi.
Ma la notizia è che per capire di cosa si tratta, e per andare a verificare la visione che della corrida il regista austriaco ci propone, non è il caso di comprarsi il dvd, farselo spedire, o trovare altre improbabili strade.

Tutto il film, diviso in tredici parti, è disponibile alla visione gratuita su Youtube.
Un'ora e tre quarti di filmato, da vedere qua:

- parte 1
- parte 2
- parte 3
- parte 4
- parte 5
- parte 6
- parte 7
- parte 8
- parte 9
- parte 10
- parte 11
- parte 12
- parte 13


Buona visione.

domenica 24 ottobre 2010

Anche Tex




Non tutte le febbri vengono per nuocere.
Quella dell'aficion, per esempio, diciamo la verità: va bene i tori, va bene i viaggi, la festa, la cultura, la corrida, e bla bla bla, ma insomma, il virus dell'aficion siamo sinceri, non è altro che un comodo pretesto per conoscere altri ammalati, incontrare persone, condividere la passione, avvicinare gente, scoprire l'umanità.

Sta di fatto che uno precipita nel baratro della passione ai tori, si fa qualche viaggetto, decide di scriverne su internet: ed eccomi qua, dopo ormai tre anni, con molta gente attorno in più, gente con cui ci si scrive, che si incontra di là dalla frontiera sui gradini delle arene o di qua dalle Alpi con le gambe sotto al tavolo, gente con cui si beve (all'occasione, anche parecchio) e mangia, con cui si chiacchiera, discute, litiga, e poi ci si abbraccia, ci si vuole spontaneamente bene, si sogna insieme la prossima stagione, ci si sente sempre più spesso e insieme ci si sente meno soli a custodire questo segreto, il segreto dell'aficion, il segreto della magia dei tori.

E, curiosa coincidenza, merito del blog è anche stata la conoscenza di questo simpatico concittadino che, pure lui contagiato dalla sacra febbre, legge queste pagine e ha deciso di incontrarmi, di bere qualche bicchiere insieme e poi di farmi omaggio di qualche libro a tema.

Insomma tra le cose che il fortunato sabato autunnale ha regalato alla libreria di casa, c'è pure questo numero di Tex.
Un Tex, un albo Tex di Bonelli, bianco e nero di rigore, cavalli e indiani, sombreros e saloon, e però il titolo è Matador.
E' il Tex numero 488, prima edizione giugno 2001, poi ristampato nel 2004.
Un'incursione del prode ranger nel mondo della corrida, naturalmente accompagnato dal fedele Kit Carson, per fare la conoscenza nientepopodimeno che di Rafael Guerrero, torero messicano.

Un Tex sulla corrida, chi l'avrebbe mai detto.
Con un neanche tanto velato approccio pedagogico, allorquando il senor Morales accompagna i nostri due eroi all'arena e spiega, con dovizia di particolari e non senza un certo trasporto, le varie fasi della lidia: il ruolo dei piccatori, la posa delle banderiglie, l'ultimo atto fino alla stoccata, sono tutti motivati e narrati dal fumetto con precisione e rispetto.

Vi risparmio il resto della storia, peralto accompagnata da tavole curate e disegni impeccabili, che restituiscono la plasticità del volapié, l'elettricità di un paio di banderillas e il fascino della vestizione, dunque ve lo risparmio perché il Tex 488, dal titolo Matador, ogni aficionado italiano che si rispetti deve farlo suo, recuperarlo, leggerlo e metterlo in bella mostra sulle mensole in salotto.

Un Tex che ha per titolo Matador è adesso al suo posto qui nella libreria di casa.
Aficion.

giovedì 21 ottobre 2010

In buona compagnia



Che Guevara, a los toros.



(nel frattempo il Parlamento Europeo ha respinto una proposta di legge del gruppo Verde, tesa ad abolire i finanziamenti europei agli allevatori di toros bravos. Siamo nell'ordine di una settantina di milioni di euro, quello sì che sarebbe stato un colpo letale alla fiesta. Una buona notizia, insomma. E curioso che sia l'Europa a indicare la strada alla Spagna, ma tant'è.)

martedì 19 ottobre 2010

Perché andiamo a vedere la corrida





Perché andiamo alla corrida.

Non è per nulla facile spiegare ciò che ci viene più naturale. Potrei senza alcun intento provocatorio rispondere con un'altra domanda o, per essere più precisi, con altre due domande: perché non dovremmo andarci o ancora perché dovremmo chiederci perché ci andiamo?

In realtà non c'è nulla di provocatorio nel rispondere ad una domanda di questo tipo con altre domande; è un po' come se ci chiedessimo perché beviamo un bicchiere di buon vino o ci soffermiamo di fronte ad un bel quadro. Ma il solo fatto che ci poniamo una di queste domande impone che la risposta più semplice e naturale, qualcuno dirà ovvia, "perché mi piace" non sia (o non sia ritenuta) sufficiente.

In realtà "perché mi piace" è una sintesi di un universo di sensazioni, emozioni, ricordi e fantasie molto difficili da districare. Sarebbe compito assai più semplice raccontare perché non andiamo o addirittura perché non dovremmo andare alle corride; che come ognuno vedrà son cose ben distinte: possiamo infatti non andare (ahimè) solo perché quella che la logistica (leggi distanza) ce lo impedisce, così come ce lo impedisce la mancanza di tempo o la mancanza di denaro, mentre nel terreno del "perché non dovremmo andare" troviamo alcuni (pochi per la verità) degli argomenti più illuminati degli antitaurini. Argomenti che evidentemente non condivido ma alla cui libera possibilità di espressione (con Voltaire) sacrificherei la vita. Viceversa mi sembra che i detrattori della corrida siano molto meno disposti non dico già a sacrificare la propria vita (metaforicamente parlando, giacché qui, nel magico gioco fra uomo e toro, l'unico che rischia davvero la propria vita è il torero), ma anche solo a tollerare chi la pensa in maniera diversa. E si badi che già il tollerare non implica accettazione ma solo sopportazione.

Il motivo è forse che, fra le tante grandezze della corrida, vi è un superiore sentimento di assoluta democrazia che, pur nella più accesa differenza delle opinioni, accomuna tutti i partecipanti; non mi viene in mente altra situazione nella quale, essendo certa la morte di uno dei contendenti (del toro quasi sempre, e del torero fortunatamente quasi mai) non c'è odio: non esiste infatti persona al mondo che ami e rispetti maggiormente un animale del torero.

E lo stesso pubblico della corrida, per definizione rumoroso, volubile ed estremamente facile all'irritazione e alla bronca, in realtà ama e rispetta il toro, ammira e idolatra il torero come dimostrano gli infiniti esempi di contestazioni memorabili trasformate da due veroniche e una media in una catartica riappacificazione tra l'afición e il proprio beniamino.

Perché dunque andiamo alle corride. E' difficile spiegarne le ragioni. Forse perché lo stesso concetto di ragione, la tanto glorificata razionalità, non entra nel cerchio magico dell'arena. Più rifletto sulla domanda e più traboccano dal cesto delle motivazioni sentimenti, emozioni, colori, suoni, profumi e poi ancora ricordi e amici e viaggi e incontri.

La corrida, quel mondo che Cañabate indicava come el planeta de los toros e che gli addetti ai lavori chiamano mundillo, piccolo mondo, piccolo universo, è qualcosa che sfugge alle definizioni e alle regole comuni.

Che sia fuori dal tempo è chiaro a chiunque, estimatore o detrattore, vi abbia assistito almeno una volta. Ma fuori dal tempo non significa affatto che sia anacronistica, superata ed antica; tutt'altro, è proprio il suo essere fuori dal tempo (in una sorta di mondo parallelo) a renderla eterna (nel limitato senso di incommensurabile rispetto alla vita umana). E del resto non è forse eterna la grande pittura ? O l'architettura? O la musica? E se per arte intendiamo quell'attività umana che crea emozione attraverso la bellezza, possiamo forse non considerare la tauromachia un'arte? Che poi a noi aficionados tale arte appaia la più grande perché unisce alla creazione che contraddistingue ogni forma d'arte, all'immediatezza tipica del teatro, all'improvvisazione dell'esecuzione musicale il palpabile pericolo cui l'artista, il torero, espone la propria vita, che a noi aficionados la tauromachia appaia come la più grande delle arti questo già rientra nella predilezione che ogni appassionato ha per la cosa, la persona, l'attività che l'appassiona.

Tuttavia dire che andiamo alla corrida perché ci piace e che ci piace perché la corrida è una forma d'arte e che l'arte è ciò che ci regala emozioni attraverso la creazione del bello non sembra per alcuni essere sufficiente.

Per me è invece più che sufficiente. Non sento infatti alcun bisogno di giustificare moralmente la corrida; la corrida, come tutta l'arte, è e dev'essere (e non può non essere) amorale, ovvero al di fuori e al di là dei giudizi di valore. Di un'opera d'arte, così come di una faena, possiamo dire che è bella o che non lo è, che ci piace o meno; ovvero, per dirla con Oscar Wilde, “non esistono libri immorali; i libri o sono scritti bene, o sono scritti male”.

Tralascio quindi qualsiasi considerazione sul fatto che nella corrida il toro (quasi sempre) muoia; qualsiasi aficionado credo infatti che abbia sentito, letto e forse anche dovuto sostenere più volte centinaia di argomentazioni (dalle più ovvie e però non meno veritiere a quelle più alte che sfiorano la filosofia) che spiegano sotto ogni possibile angolazione le motivazione di questo inevitabile esito. D'altra parte se il toro non venisse sacrificato, semplicemente non esisterebbe la corrida. E non esisterebbe il toro.

Perché andiamo dunque alla corrida? Non lo so.

Ma speriamo di farlo ancora per molto tempo.

Suerte!


Cristiano Bricchi


(foto Ronda - per inviare il proprio testo: alle5dellasera@tiscali.it)



domenica 17 ottobre 2010

Conto alla rovescia




Altroché Kilimangiaro, qui siamo ben oltre.

Dunque, c'è un personaggio in Francia, super amante degli animali, super anticorrida eccetera eccetera, che ha deciso di alzare il livello.
Forse si era stufato di manifestazioni, proposte di legge, volantinaggi e cose così.
Il tipo ha deciso di risolvere il problema alla radice: i tori da combattimento muoiono nell'arena?
Bene, io me ne compro uno e non lo faccio morire nell'arena.

Christophe dunque ha riscattato un vitello di tre mesi dal suo allevamento e se l'è messo in giardino.
L'ha chiamato Fadjen.
E la cosa migliore che il prode Christophe ha fatto per divulgare questa nuova pratica è stata l'apertura di un blog, dalle cui pagine l'amico transalpino ci relaziona sulla crescita di Fadjen, mostra video in cui Fadjen risponde se chiamato, chiede sostegno economico e dice che ha bisogno di un trattore per portare da mangiare a Fadjen, mostra altri video in cui Fadjen corre spensierato insieme alle caprette, e vi pubblica le pagine del diario in cui ci racconta della prima poppata che Fadjen ha dato al biberon, del secondo biberon che Christophe ha dato a Fadjen e così via, tratteggiando uno scenario idilliaco in cui il toro da combattimento non è altro più che un pacioso animaluccio da compagnia, un erbivoro pacifico e naturalmente incline a stabilire fratellanza con l'uomo, un compagno e un amico.

Christophe ci dice che Fadjen, chiamato così proprio come il vitellino di Ingalls - quello de La casa nella prateria - ha imparato a rispettare i "no" che lui gli intima, è di casta domecq, riconosce la macchina del suo padroncino, che lui gli parla molto (cioè, Christophe a Fadjen) e che Fadjen lo onora di muggiti affettuosi e complici.

C'è un filmato in cui Christophe gioca a pallone con Fadjen, davvero, non scherzo.

Tutto molto commovente, tutto molto disney.

Se non che, tanto per dirne una, anche l'allevatore francese di toros bravos Cyril Colombeau qualche anno fa dovette tirare su un vitello col biberon.
La madre l'aveva abbandonato, e non c'era alternativa.
Cyril Colombeau aveva nutrito il vitellino, l'aveva svezzato, gli si avvicinava, gli lustrava il pelo, lo accudiva, i due se la intendevano.
Il vitellino crebbe e si fece toro.
L'8 aprile 2004, giusto in apertura della feria di Arles, Cyril Colombeau entra proprio nello stallo di quel toro, per portargli del fieno.
Inciampa e cade a terra.
Il toro gli pianta un corno nel petto, lo solleva, e lo inchioda contro il muro.
Morto sul colpo.

Io, fossi in Christophe, terrei aperte le biglie.
Il biberon non basta, per spurgare il sangue da millenni di bravura.

E' tutto così stupido.


- il blog di Christophe e Fadjen
- una pagina dal sito del Crac con l'intervista a Christophe e Fadjen calciatore


sabato 16 ottobre 2010

Quelle piccole cose che mi fanno impazzire




A Madrid, quando aprono la corsa, se si tratta di una novigliada i due alguaciles ritornano - una volta salutato il presidente - passando per il centro.

Se si tratta di una corrida, i due cavalieri tornano invece costeggiando le assi della barriera.

E' ora di arrendersi all'evidenza socratica della tauromachia: sappiamo che non sapremo mai tutto.



(foto Ronda - Las Ventas)

giovedì 14 ottobre 2010

Kiss me Licia - ovvero del quanti siamo





Partiamo da una felice constatazione: la rete di Alle cinque della sera funziona sempre, e bene.
Nell'ordine una telefonata, un sms e una mail dettagliata, le nostre sentinelle hanno le antenne alzate e le sanno usare.

Succede che domenica scorsa al pomeriggio, nel bel mezzo della puntata, Alle Falde del Kilimangiaro (Rai Tre) abbia dedicato uno spazio alla corrida (1).
Oplà, vuoi vedere che...?
No, falso allarme, non c'è niente da vedere.
L'ineffabile Licia Colò, la stessa che interagiva con un pupazzo parlante a forma di cane rosa e di nome Uan, ha deciso che la domenica pomeriggio di un milione e mezzo di italiani doveva essere animata dalle scioccanti denuncie di due militanti di Prou!, la piattaforma abolizionista catalana, quella del patatrac.

Vi risparmio tutto il resto, che comunque è facile immaginare: il toro rimane tre giorni a digiuno prima di combattere, la corrida è una tortura, e via su questa linea con la solita pazzesca teoria di orrori e ossessioni.
E un numero imprecisato di cose nemmeno tendenziose, ma proprio non vere, di fantasia.
Ora, è chiaro che non siamo alla tribuna politica dove la par condicio è sacralmente e ridicolmente preservata, ma un servizio pubblico potrebbe anche pensare che un pò di equilibrio nell'informazione non guasterebbe: ma niente, si vede che sul Kilimangiario hanno deciso che la linea deve essere questa.
Invitare quelli di Prou! a parlare di corrida è un pò come andare a intervistare i preti di Boston sulla pedagogia dell'età evolutiva nei bambini, ma passi.

Il grottesco però la trasmissione l'ha toccato con il sondaggione, con l'inevitabile sondaggione senza cui in Italia ormai non è possibile formulare opinioni o analizzare una realtà, il terrificante sondaggione, quella presenza mitologica nel nostro quotidiano che è pari ormai, per pregnanza nella società, alla fantasmagorica Luisona di benniana memoria.
Abolire la corrida sì o no?
Minchia.
Cioè noi qui dall'Italia, la domenica pomeriggio, con mezza teglia di lasagne in pancia e quattro bicchieri di sangiovese nelle vene, dobbiamo decidere se abolire la corrida o no.
E perché allora il prossimo fine settimana non interrogare gli spettatori, che so, su C'è troppo peperoncino nella cucina messicana: intervenire subito sì o no?, o anche Il baseball è noioso: vietarlo per legge sì o no?

Niente, il sondaggione è lanciato.
Dopo un demenziale crescendo di assurdità i due militanti di Prou! concludono i loro interventi tratteggiando un'apocalisse biblica per i tori e proprio in quel momento (fine stratega) la Licia nazionale chiude la consultazione degli italiani.
Passa qualche minuto ed ecco i dati: il 94% dei nostri spettatori vuole abolire la corrida.
Facce soddisfatte in studio, un mezzo orgasmo per l'avvocatessa di Prou! presente alla trasmissione, la nostra Licia a gongolare.
Tutto torna.

Ma, ma, ma...
Rinviamo per ora ad altre sedi la riflessione sul cosa spinge della gente a telefonare in Rai, la domenica pomeriggio con il sangiovese in circolo, per dichiarare che sì, le corride in Spagna vanno abolite; cioè, non sottocasa, nell'arena del paese vicino, ma no, in Spagna, vogliamo abolire una roba (tradizione, spettacolo, sport, boh) di cui non sappiamo nulla e che riguarda non noi ma un paese che sta 2000 km da qua.
E se fra tre anni gli animalisti islandesi fanno un sondaggio in televisione dal titolo Emergenza maiali in Emilia Romagna: abolire la mortadella sì o no...?, vorrei capire come la mettiamo.
E' tutto davvero ridicolissimo.

Ma c'è un ma, appunto.
All'aficionado pur avvinazzato e pur gonfio di lasagne, quella percentuale ha allietato la domenica, favorito la digestione, regalato un'inaspettata sensazione di confortevole benessere.
Il 94% degli spettatori del Kilimangiaro vuole l'abolizione delle corride.
E dunque attenzione, il 6% no.
Il 6% ama le corride.
Dati auditel alla mano, siamo intorno alle 90.000 persone.
90.000 aficionados italiani, 90.000 appassionati ai tori che si chiamano Giovanni, Mario, Barbara, Lucia e non Pepe, Miguel, Paloma, Carmen: che incredibile notizia, che fantastica notizia!
Siamo 90.000, tanto da riempire una città per una feria, così per dire, o per reclamare la pubblicazione di un mensile da trovare in edicola, o un torosparatodos in lingua italiana.
90.000, da vertigini.

E figuriamoci se proviamo a spingerci più in là, visto che l'allegra spensieratezza con cui in televisione oggi si indicono sondaggi, facendosi beffa di qualsivoglia criterio anche solo pallidamente scientifico, ce lo consente tranquillamente.
Gli aficionados in Italia sono il 6%, che sta a dire 3.600.000 persone.
Wooooooooow, tremilioniemezzo di appassionati ai tori in Italia.
Altroché vertigini, qua il dato significa perlomeno un principio di svenimento.

Perciò: che grande domenica.
Che meravigliosa domenica pomeriggio.
E grazie, inevitabilmente grazie, a Licia Colò, e grazie ai due personaggi catalani.
Ora sappiamo quanti siamo: da un minimo di 90mila a un massimo di qualche milionata.

Viva l'aficion italiana.

(1) il video della trasmissione è disponibile a questo link: il servizio in questione parte più o meno dopo 1 ora e 26 minuti



mercoledì 13 ottobre 2010

Viva




E quella scritta a penna su una bandiera: fuerza hermanos mineros.

sabato 9 ottobre 2010

Parola di Nobel

Vargas Llosa ha vinto il Nobel per la letterattura eccetera eccetera.
Aficionado sincero, nel 2000 fu incaricato di scrivere il pregòn per la feria di Siviglia: campeggia, oggi, nella introduzione al magnifico Los Toros di Michael Crouser.
E' fra le cose più incisive che possa capitare di leggere sulla tauromachia, e vale la pena provare a tradurla e metterla su queste pagine, perlomeno nei suoi passaggi migliori.


La fiesta dei tori - un'arte, una scienza, uno sport e una cerimonia - è l'unica nell'eterna cultura dei riti sacri di offerte e sacrificio della quale è parte (nonostante, attualmente, si stia eclissando quella premessa religiosa dalla quale nacque) nella quale il celebrante affronta la vittima senza altra difesa che non la sua intuizione, dando ogni vantaggio alla forza, esponendo totalmente sé e la propria vita.
Vedere in questo solamente un'ostentazione di coraggio è limitato.

Senza dubbio il coraggio non è l'essenza della tauromachia. Forse lo è, con più ragioni, la paura.
Questa paura - il più umano dei sentimenti - che il torero deve contenere, gestire, vincere e dimenticare quando la sua ragione e la sua arte dominano sugli avversari sottomettendoli alla sua volontà, al suo gioco, ai suoi gesti, fino quasi far calare sull'arena l'impressione che sia scomparso ogni pericolo, che cioò che era cominciato con una sfida di sangue e morte si è trasformato in danza, cerimonia, plasiticità, teatro, rito.
Quando un torero riesce a far raggiungere alla faena questo livello di compenetrazione, complicità e intelligenza tra sé e il suo avversario, la fiesta tocca la profondità della sua essenza: la sua bellezza e il suo mistero brillano di luce piena, e lo spettacolo ci entusiasma, unendoci all'assoluto in alcuni istanti di eternità, come certe elegie di Garcilaso o le satire di Quevedo o le allegorie di Gongora, o la musica di Mozart e B
eethoven, o la perfezione delle Meninas di Velasquez o la visione degli affreschi della Quinta del Sordo di Goya, in questa improvvisa rivelazione di quello che siamo e di quello che è il cuore della vita, il suo senso profondo, impalpabile alchimia che ci giustifica e ci spiega.

Non tutti devono sentire e capire los toros, come non tutti gli esseri umani comprendono la poesia, la musica, la pittura e si emozionano con queste.
E' perfettamente legittimo che sia così, dato che il tratto primordiale dell'esistenza è che siamo diversi, che qualcuno si esalti, gioisca e si emozioni per qualcosa che a un altro annoia, demoralizza, intristisce.

Tra tutte le arti, probabilmente la più difficile da spiegare razionalmente è la corrida di tori, una fiesta che non tocca mai, di primo impatto, la intelligenza e la ragione, se non invece le emozioni e le sensazioni.
La letteratura può arrivare ad essere spiegata e inculcata grazie all'insegnamento e allo studio.
La corrida, no.
La conoscenza richiede, per essa, un terreno spirituale già concimato.
Per quanto rigorosa e esatta che possa essere la descrizione di un passo naturale, di una
veronica, di una gaonera, di un paio di banderiglie messe con slancio e precisione, non basterà un'elegia per far vibrare di emozione, togliere il respiro o far vibrare l'anima ad una persona indifferente o allergica, e nemmeno perché comprenda perché questo capita all'aficionado quando quei passi e quelle suertes sono eseguiti con eleganza da un torero che, fedele al suo appellativo, è riuscito a distinguersi con il toro che sta combattendo.
Un sordo non può godere della musica e un cieco arrendersi al richiamo delle arti plastiche.
Le corride non devono entusiasmare tutti gli uomini, richiedono una predisposizione profonda, che deriva dalla tradizione e dalla cultura dell'ambiente in cui si nasce e vive e però probabilmente, soprattutto, a propensioni e sentimenti psicologici ed emotivi particolari di ognuno.

La
fiesta dei tori è crudele, come lo sono tutti gli sport che comprendono la partecipazione degli animali, come lo sono, in ogni loro aspetto, la caccia e la pesca, come lo è, inevitabilmente, questa legge naturale che fa sì che la vita si nutra della vita, che il prezzo per vivere sia il morire.
La civilizzazione ha attenuato questa verità, ma non ha potuto ne potrà sopprimerla.

Quello che chi si dà pena per la sorte del toro da combattimento non riesce a capire è che dietro la corrida, fiesta crudele, ci sono anni di attenzione e devozione per il toro e che, per questo, i paesi che come Spagna e Messico hanno mantenuta viva la tradizione taurina - le cui antichissime origini risalgono agli albori della civiltà mediterranea, e che qualcuno fa arrivare fino al labirinto di Creta dove Teseo, il primo torero, uccise il Minotauro - sono anche paesi dove l'allevamento del toro è molto più che una necessità, una professione o un commercio: è una vocazione, un'arte e una passione.

La fiesta dei tori è una festa popolare.
Hai i suoi aristocratici, i suoi eruditi e la sua élite, i suoi saccenti intolleranti che si arrogano l'onniscienza taurifila e disprezzano il semplice aficionado che sale nel tendido ad emozionarsi e applaudire, i suoi puristi o tradizionalisti che ancora non ammettono il cambiamento dei tempi, e tutto questo è davvero una cosa buona, che le dà maggior colore.
Perché la fiesta è, innazitutto e soprattutto, una festa popolare, modellata dalla poderosa carica di vita e entusiasmo che la alimenta, e la sua autenticità e la sua energia, le migliaia di migliaia di uomini e donne di ogni condizione che di essa godono e si uniscono e riconoscono e fraternizzano condividendo quell'emozione, nell'esplosione di un applauso o nel fiammeggiare dei fazzoletti che chiedono un trofeo per il torero, o nei fischi rivolti a chi ha defraudato, sentimenti veri e volubili che tradiscono una libertà e una sincerità sconosciute da tutte le altre manifestazioni collettive, soprattutto quelle sportive cominciando dal football in cui, a differenza di quello che capita nella fiesta dei tori, l'appassionato non va ad ammirare ciò che merita di essere ammirato o a fischiare ciò che merita di essere fischiato, va invece a manifestare un'esibizione di partigianità: applaudire e festeggiare le giocate della propria squadra e osteggiare quelle degli avversari.
Per questo il football non ha aficionados, ma solo tifosi e, spesso, fanatici.
Ma nei tori invece è viva l'imparzialità dell'amante delle arti, che entra in un museo, apre un libro, si siede in un teatro per un concerto o un balletto, con l'animo disposto a farsi conquistare, e che solo con molta resistenza si rassegna a disapprovare quello che vede, legge o ascolta, e che non risponde alle sue aspettative.
L'aficionado ai tori vuole che tutti i toreri trionfino, che tutti, in ognuna delle suertes, superino sé stessi e lo meraviglino e lo inondino di emozione, e per questo si lascia andare all'entusiasmo dopo una grande faena, chiunque sia il torero che la esegue, con una passione e un trasporto che solo si vede nei grandi concerti o nelle grandi opere.

C'è qualcosa che viene da molto lontano nella storia della civilizzazione, in queste esplosioni di felicità e allegria che scuotono alcuni pomeriggi le arene, una reminiscenza di antichissime celebrazioni popolari, quando la fiesta era inseparabile dalla magia e dalla superstizione, quando non era ancora ben individuata la frontiera tra l'essere umano, l'animale e gli dei, e tutti questi si mescolavano, nella cornice di queste rappresentazioni collettive in cui la vita e la morte erano complici, e questo mondo e l'altro mondo erano comunque uno solo, e il corpo e lo spirito non erano separati, e non c'erano pudori o tabù che proibivano di godere eodivertirsi, se non invece al contrario l'ebbrezza, la danza, l'amore fisico, invece di minacciare la salute spirituale degli uomini, li avvicinava agli dei.
Si annida nella fiesta dei tori una oscura nostalgia di questi tempi barbari, precedenti alla storia, quelli del mito e delle gesta, quando la vita era assai più precaria e violenta, però anche più intensa e completa, senza le rinunce, i freni e le proibizioni che esige la vita in comunità, ed essa viene da là, da quei lontanissimi confini dell'umanità, quando l'umanità cominiciava a balbettare e andare, in questo pianeta a lei ancora sconosciuto, per questo lungo cammino che la porterà nei secoli a conquistare la materia e volare fino alle stelle.

In un qualche modo, nel gioco che giocano toro e torero nel circolo magico dell'arena, ci affacciamo a questo passato da cui veniamo, ci riavviciniamo ai nostri antenati e scopriamo che, benché le apparenze dicano il contrario, non siamo cambiati di tanto e che, pur in questa modernità, molto di ciò che essi ammiravano, che li rallegrava o terrorizzava, ugualmente ci meraviglia, ci esalta o spaventa e che, in fin dei conti, le straordinarie conoscenze che abbiamo conquistato non sono bastate per sopprimere nei nostri spiriti questa infantile innocenza per cui un quite ben fatto, una fioritura, un farol, un passo, uno scarto, un desplante, il profilo del torero davanti al toro, bastano per rendere piena la nostra vita.


Mario Vargas Llosa



(foto di Michael Crouser, da Los Toros)



giovedì 7 ottobre 2010

Sbuffo animale




Quegli occhi che ti fissano, sicuri e arroganti che si portano dentro millenni di bravura, la presunzione del più forte, due occhi che sono un abisso e là in fondo ci leggi l'idea della morte.
Il corpo lucido e liscio, nero striato di rame, elegante e funereo.
Sbuffo animale.
I muscoli tesi, pronti, esplosivi.
Quel soffio dalle narici, un vento che porta non aria ma l'evoluzione intera della specie, quel soffio che spazzerebbe ogni cosa, alberi uomini e il mondo intero, e che ora solca la terra, la disegna, la scava.

Sbuffo animale, magnetica presenza.
Ormoni, sangue, carne.
Caldo.

Questo è un toro, a un metro da te.
Questo è stato un toro di Tardieu, una mattina di fine estate, con il sole giallo maturo e l'aria frizzante a sveglire i campi e i roveti.
I cavalli bianchi liberi al galoppo, le fronde mosse dal vento, e i gesti curati di quegli uomini, i gesti di sempre, i gesti di secoli.
Quelle facce solcate dalla fatica e dagli anni, quelle facce che parlano senza bisogno di parlare, quei visi che raccontano devozione, sacrificio, sincerità.
I tori là in fondo, eleganti e nobili.
I tori quando sono nel campo hanno un portamento signorile, le figure regali in un affresco bucolico che loro caricano di importanza, pathos, regalità.

Poi quel toro.
Recuperato a cavallo, guidato dai buoi, infine chiuso nella cella.
Un'ora di lavoro, noi ad osservare da lontano ammirati, i due cavalieri a sudare, gridare, scartare, condurre.
Perfetti.
Alla fine, quel corpo nero nella cella.
Esplode la rabbia.

Noi sopra, a dividerci da quel vulcano pronto ad eruttare solo qualche asse, qualche tubo, qualche spanna di vuoto.
Ecco, se non hai mai visto un toro da solo, se non hai mai visto quegli occhi che cavalcano il ricordo di combattimenti eterni e lontani, due diamanti neri incastonati in un gioiello di muscoli e bravura, quegli occhi che sono fuoco e acciaio.
Quegli occhi, semplicemente, selvaggi.
Se non hai mai visto tutto questo non sai cos'è, un toro.
Non sai cos'è, la corrida.

Paura, brividi, palpitazioni, i muscoli di pietra e il respiro isterico e i nervi tirati, questo sei tu quando a mezza gamba da te c'è un toro che ti fissa, e basta una scintilla che gli infiammi la chimica e i geni perché ti sia addosso, lo sai, lo senti, è lì e ti guarda.
Un tuo impercettibile e involontario movimento e il toro si volta, un fulmine, si mette in posizione, accenna a un paio di passi di carica, non ti perde di vista.
Sei suo.

Quegli occhi.
Quegli occhi incredibili, che nessuna parola li può raccontare, quegli occhi che provi a vedere dove finiscono ma non ce la fai, profondi come un abisso, neri e profondi come un cratere che raggiunge il centro del mondo, e là in fondo sai che c'è tutto, c'è la verità, il mistero, la bravura, la morte.
Quegli occhi, da paura.

Quel respiro,che non è affanno, che non è di paura ma è il suo contrario, quel soffio che fende l'aria elettrica, che paralizza i nervi, sbuffo animale che tutto riempie e di tutto si fa padrone, e porta afrore, adrenalina, ormoni, caldo incandescente come la lava e gelido come la morte.

Un mattino di fine estate, il sole giallo della Provenza, nel verde della campagna.
Un toro.



(foto Ronda - il toro di Tardieu)

martedì 5 ottobre 2010

Perché andiamo a vedere la corrida


Perché vado a vedere la corrida?

E’ difficile sintetizzarlo in poche frasi; perché tanti sono i regali meravigliosi che la corrida mi ha fatto in questi otto anni.

In primo luogo le persone che ho conosciuto.

Due su tutte: Miguel e Inaki.

Il primo era il custode dell’arena di San Sebastian che mi ha portato a vedere i tori nel corral, osservarli da vicino quando per me erano solo diavoli neri aizzati da un panno rosso in un cerchio di sabbia. Che mi ha raccontato del loro carattere, della loro vita nel campo, di come vivono liberi per 4-5 anni prima di morire nell’arena lottando e combattendo, perché è per questo che sono nati.

E poi Inaki, conosciuto di recente, che per questi due pazzi di italiani si è fatto chilometri, ha preparato da bere e da mangiare, e ci ha raccontato tanto della Navarra.

La corrida non è solo la bellezza della morte in un cerchio di sabbia, di un uomo e di un toro che si cercano a passi di danza.

Non è solo dentro l’arena quello che mi ha affascinata o meglio che mi ha stregata, tanto da non poterne più fare a meno.

Per me la corrida è svegliarsi dal torpore a febbraio, prenotare per la prima feria, Arles, contare i giorni che mi separano dalla Pasqua con trepidazione, come aspettavo il Natale da bambina.

E’ partire il venerdì notte, dormire a Gap in autostrada quando fuori ci sono -9 gradi (sì meno 9 ed era Pasqua). E’ arrivare ad Arles alle 8 quando in giro non c’è nessuno, è quell’orribile caffè e quel magnifico croissant. E poi il caldo della plaza, il sudore, la paura, il parlare col vicino, il criticare questo o quel toro, questo o quel torero. E quando arriva lui, il torero favorito, che tante volte mi ha fatta emozionare, quel suo piroettare magico a pochi centimetri dal corno, vedo la sublime bellezza di quel balletto che sembra preparato, dove ognuno dei due danzatori si muove a tempo con l’altro.

E’ fare i bagagli, macinare chilometri, visitare posti che mai e poi mai avrei preso in considerazione. Tafalla, Riscle, Hagetmau, Saint-Martin de Crau sono poco più che puntini sulle cartine geografiche, ma grazie ai tori ho conosciuto luoghi meravigliosi e soprattutto persone che mi hanno insegnato tante cose.

La corrida è qualcosa a cui penso ogni giorno, aspettando una faena magica, che mi faccia emozionare, mi faccia piangere.

Tanti sono stati i pomeriggi di delusione quando il torero non ha saputo sfruttare al massimo le qualità del toro, eppure la plaza esercita su di me un fascino a cui non so restare lontana. Le sensazioni che mi provo durante una faena “perfetta” mi portano a cercarne sempre di nuove, a programmare week-end, vacanze per seguire questo o quel torero, questo o quell’allevamento di tori.

Ringrazio questo blog che mi aiuta a passare l’inverno quando fuori fa freddo, con una tazza di tisana in una mano e il mouse nell’altra. Ringrazio le persone che ho conosciuto grazie al blog, alle cene condivise insieme, alle eterne discussioni con Marco, che tanto non siamo mai d’accordo, ma è così bello discutere e non arrivare a niente.

La corrida non è sangue e violenza, è viaggio e avventura, bellezza e tragedia, persone e amicizia che in 8 anni mi spingono ogni anno a ripartire per una nuova temporada.


Marzia Paderi


(foto Ronda - per inviare il proprio testo: alle5dellasera@tiscali.it)

domenica 3 ottobre 2010

Sentimento




La Tauromachie- historie et dictionnaire (*), autentica e preziosa garzantina della corrida, ascrive Juan Mora alla categoria dei toreri artisti: "occore comunque riconoscere una buona estetica che regala un incontestabile fascino alle sue faenas", vi si legge.

Juan Mora è nato a Plasencia 47 anni fa, ha preso l'alternativa a vent'anni dopo una carriera di ben 106 novilladas, ed è praticamente il sosia dell'attore comico americano Tim Allen.
Nel 2001 ha rischiato di lasciarci la pelle, a Jaen, incornato da un toro di Joaquin Barral.
Oggi non se lo fila nessuno.

Ieri Juan Mora, due contratti quest'anno, due contratti in tutto l'anno, ha cambiato tutto: mesi di dibattito e polemiche su Barcellona, un anno di cronache, di disillusioni, di cifre, di oblio personale, tutto.

Ieri Juan Mora ha fatto una cosa che è insieme l'essenza della tauromachia e la certificazione della sua grandezza: ha toreato con sentimento.
Ha tagliato due orecchie al suo primo toro dopo non più di venti passi di muleta: quelli con la sinistra pieni di cuore, di emozione, di purezza.
Venti passi per due orecchie, è la lezione del vecchio leone.

Fatto straordinario, Juan Mora lavora alla muleta tenendo in mano la spada per uccidere.
La verità.
Un'ultima serie a sinistra, toro in posizione, e stoccata perfetta e autentica.
La purezza del gesto, la verità del toreo.
Sentimento torero.

Dicono che Las Ventas abbia seppellito di olé i suoi venti passi, e che dopo la stoccata en todo lo alto gli si sia arresa e concessa, come una donna sedotta con arte e conquistata per sempre.

Juan Mora ha levato le mani al cielo, ha abbracciato l'alguacil, ha preso le due orecchie e le ha passate a suo figlio.
Ha fatto la vuelta con lui.


(foto Juan Pelegrin - Manon)

venerdì 1 ottobre 2010

I tori sono di tutti


Né di destra né di sinistra, né per ricchi né per poveri: questo è il sunto.

Rosa Cano dalle pagine del Pais ci relaziona sull'incontro avvenuto ieri tra il ministro spagnolo alla Cultura e un gruppo di toreri, capitanati da Juli e Ponce, andati ad incontrarla per discutere del delicato momento della fiesta e per promuovere il passaggio della competenza sui tori appunto dagli Interni alla Cultura.


(foto Ronda)