giovedì 10 dicembre 2009

Non c'è spettacolo dove si muore

Queste stesse parole qua sotto già compaiono nei commenti all'articolo su Hemingway di un paio di giorni fa.
Non conosco l'autore, chissà un giorno forse ci incroceremo sulla strada dei tori, o magari no: ma mi pareva ingiusto lasciare confinata là in fondo, a nota di un pezzo tra i tanti, questa spontanea e inaspettata poesia.
A voi.




“Guardi bello signora, è ancora vivo”.
Tanto negli anni ottanta prima o poi si va in Spagna. Età da scuola media e via coi genitori. Forse Barcellona, non ricordo; ma comunque la corrida perché tanto ormai ci siamo.
Dio mio. La prima fu lacrime e sangue, fu tanta rabbia e speriamo che lo incorni; ché non si capisce perché si debba ammazzare una povera bestia in questo modo. D’altra parte vaglielo a spiegare te ad un pischelletto. Italiano.
E poi ‘sta Spagna: sporco, slot-machine e un toro pisciasangue. Questa la primera vez. Chi l’avrebbe mai detto.
“Guardi bello signora, è ancora vivo”.
C’è poi che il tempo passa, lontano, e ti ritrovi col ‘Vecchio e il mare’, uno di quei libri che dopo l’autore lo chiami per nome, mica più per cognome. Mi è sempre rimasto dentro, quel vecchio che sognava i leoni. E allora sì che ti vien voglia d’andare: ‘Fiesta’, ‘Addio alle armi’ e i ‘Quarantanove racconti’. Che poi tanto un giorno arriva ‘Morte nel pomeriggio’, e lì finalmente ci si guarda negli occhi.
Un romanzo-trattato-manuale pesante, tecnico e lungo. E bellissimo, affascinante e sorprendente. Che ti svela e t’innamora. Porcaputtana Ernest, prima o poi ci torno in Spagna.
“Guardi bello signora, è ancora vivo”.
Quest’anno, dopo tanto, c’ero anch’io alla Maestranza di Siviglia, il 27 di settembre. Terza corrida vista davvero e tre volte in Spagna nel duemilanove. Ma la prima con una faena come quella del Luque. Non capisci, finché non la vedi. Anche i miei amici, tutti profani, a peliritti e boccaperta.
“Guardi bello signora, è ancora vivo”.
Ogni giorno nei mercati ittici di tutto il mondo si ripete questa frase perché ogni giorno milioni di persone mangiano pesce; che rimane impigliato una nottata nelle reti e poi crepa di lenta asfissia il giorno dopo tra ghiaccio e polistirolo. Ma nessuno si lamenta.
Eppure si mangia anche il toro, e soffre infinitamente di meno.
E allora? O qui qualcosa mi sfugge, oppure siamo tutti spagnoli. Perché io preferirei nascere toro piuttosto che pollo Amadori.
Ho 34 anni, non son vegetariano e non biasimo la caccia. Però non ci vado allo zoo, non faccio la pesca sportiva perché o è ‘pesca’ o è ‘sport’, e un siberian husky non lo comprerei mai, perché abito vicino a Firenze, mica a Capo Nord. Ma mi piace tanto la corrida, perché c’è dentro un senso profondo di vita e di morte, di coraggio e di paura, di uomo e di bestia. E fatela finita di chiamarla ‘spettacolo’, perché non c’è spettacolo dove si muore.

(foto Ronda - Arles 26.03.05; mi scuserà l'autore di questo pezzo, l'immagine è oggettivamente terribile. Ma è presa alla prima corrida a cui abbiamo assistito, e mi sembrava l'accostamento migliore alle sue parole: da allora di strada ne è stata fatta, tanto nell'aficion quanto nella fotografia...)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

mi sei piaciuto !!! è vero : non c'è "spettacolo" dove si muore .
roberto.

jackermit ha detto...

Ti ringrazio Roberto per l'apprezzamento. Io credo che questo sia il punto fondamentale per cercare di capire questo mondo, soprattutto per un non-spagnolo. Gli orientali hanno una bella frase che dice 'Il primo passo verso la saggezza è chiamare le cose con il loro nome'; è vero, alla corrida si paga il biglietto, ma non siamo né a teatro né allo stadio.