giovedì 26 novembre 2009

Belmonte e il terreno del toro

MIURA

Belmonte annientò le leggi scritte e non scritte della tauromachia.
La fondamentale di queste leggi è, come si disse a suo tempo, quella che riguarda i terreni del toro e del torero quando sono di fronte e che, in un certo senso, stabilisce la linea immaginaria oltre la quale l'uomo non può spingersi.
La storia della tauromachia altro non è che la secolare lotta dei toreri per guadagnare un centimetro, un millimetro, una micrometrica distanza sul terreno del toro.
E' una corsa sorda, affannosa verso il toro, come verso un frutto sublime o proibito.
Per sentire un toro passare il più vicino possibile sono morti uomini spagnolo a centinaia.
Le stesse rivalità fra toreri non furono che gare d'audacia verso il terreno vietato e si risolsero sempre in favore di chi, magari lasciandoci la pelle, si spinse più avanti.

Belmonte fu il primo a violare la legge dei terreni che era, per generale credenza, una legge geometrica.
Il che, in tauromachia, significa qualcosa come non ammettere che la somma dei quadrati costruiti sui cateti è eguale al quadrato costriuto sull'ipotenusa.
Nella lotta fra l'uomo e il toro Belmonte, ribellandosi ad ogni limite, si buttò dall'altra parte; valicò il confine verso un mondo inesplorato e favoloso, popolato di morti e di leggende nere.
Fu l'Ulisse della tauromachia. Arrivato dall'altra parte, trovò in realtà i mostri ed i morti (Espartero stava in prima fila) e trovò che la lotta per la vita era tanto dura, serrata e tremenda che forse gli sarebbe piaciuto tornare indietro.
E sarebbe forse tornato, se avesse potuto, se avesse materialmente potuto rivalicare l'abisso.
Ma non s'è detto tante volte che Belmonte, poverino, era un rospetto, un ranocchio, un passerotto caduto prematuramente dal nido?
Non s'è sempre parlato delle gambette di Belmonte, delle sue braccine, delle sue spallucce sulle quali il collo spuntava come un esile stelo?
Bé; oltre all'eccezionale tempra del cuore fu per colpa della sua sciagurata fattura se Belmonte non tornò indietro.
Rimase dall'altra parte durante vent'anni, prima solo, poi con Joselito, a lottare con la morte e con la gloria.
E un giorno era la morte che sembrava avere il sopravvento (Belmonte ha sofferto un numero imprecisato di ferite gravissime e fino a quindici incidenti di sangue in una sola corrida) e un altro giorno era la gloria.
I vent'anni in cui Belmonte e Joselit rimasero al di là dell'abisso fatale corrispondono ai vent'anni di maggiore splendore che la tauromachia abbia conosciuto ed al periodo di più intensa esaltazione popolare.

- brano liberamente tratto da Volapié di Max David, ed. Bietti -



(foto Ronda - Lescarret e un Miura, Arles 2009)

Nessun commento: