domenica 18 ottobre 2009

Autonomia unica via

VACHES REINES

All'arrivo il parcheggio è pieno, gente che schizza via da tutte le parti e si accoda disordinatamente nella direzione indicata dai pannelli.
A meno duecento metri ecco il profumo amico delle salsicce che sfrigolano sulla piastra, i primi baracchini che spillano birra, i primi crocchi di persone con panino fra i denti e bicchiere in mano.
Poi pian piano arriva il resto, le bancarelle con gadget e souvenir a tema, la banda che suona, la gente che si accalca, l'eccitazione conosciuta.
La fila al botteghino, per entrare.
L'arena è già piena: sette/ottomila persone installate sui gradini, le bottiglie di rosso saldamente in equilibrio in mezzo alle gambe, condannate a separarsi presto dal tappo.
Sulla pista settecento kg di muscoli neri, le due corna d'ordinanza protese al cielo.
Insomma tutto come al solito.
Sud della Francia, Paesi Baschi, Andalusia, Nimes-Jerez-Bayonne-Cenicientos?

No, Valle d'Aosta.
Arena Croix Noires, alle porte del capoluogo.
Oggi, domenica 18 ottobre 2009.

Era in programma la finale della Battaglia delle Regine, l'appuntamento dell'anno.
Con buona pace degli animalisti nostrani, ignorata dal resto d'Italia, la finalona raduna alla Croix Noire di Aosta (un'arena con tutti i crismi - palco presidenziale, tribune coperte, gradinate al sole, taquilla e cancelli, campo di battaglia recintato) diverse migliaia di persone che vengono a vedere combattere degli animali.
E' un combattimento vero, la battaglia delle vacche regine.
Spiegheremo magari in un altro articolo il meccanismo della finale e delle eliminatorie, e del combattimento in generale: tre categorie di peso, sorteggi per i confronti una-contro-una, confronti muscolosi e duri ma sempre incruenti e senza conseguenza alcuna, fino alla vincitrice assoluta.

Oggi semplicemente ci va di raccontare il clima di festa e serenità che si respira in una domenica così all'arena di Aosta (che effetto che fa, l'arena di Aosta...).
Da queste parti evidentemente l'animalismo è ancora una nevrosi metropolitana che fa sorridere e induce a tenerezza e solidarietà per chi ne è affetto, ma che qui non ci si può permettere e si tiene a bada.
Gli allevatori non solo sono orgogliosi di portare alla finale le proprie vacche migliori (per inciso, ce n'era qualcuna che passava gli 800 kg), ma vivono la giornata con la stessa tensione del ganadero che fa uscire sei suoi pupilli in corrida; il presidente e la giuria vigilano con rigore sullo svolgimento della gara, organizzano i sorteggi, ratificano la vittoria dell'una o dell'altra, assegnano i premi; i fotografi cercano l'angolatura migliore, il camioncino delle birre alla spina fa i soliti buoni affari, e al posto di gamberetti o jamon volano via generosi pezzi di toma o fontina.
Il pubblico, sui gradini, è quello della festa.
Famiglie intere con bambini eccitati, bottiglie di rosso e bottiglie di bianco, bicchieri che passano di mano in mano, micche di pane e taglieri su cui lentamente abbandonano la vita salami, formaggelle, salsiccie.
Ci sono i curiosi, gli appassionati, il nonno col nipotino, i tanti abituati ad onorare l'appuntamento per tradizione famigliare.
Visi segnati dalle rughe e dal vento, gote rosse, pile e scarponi, gente di montagna.

Lì in mezzo, davanti a tutto questo, le coppie di regine si affrontano, si attaccano, si spingono.
Combattono.
Si vince perché l'altra perde: quella che abbandona il combattimento è out.
Tutte gravide perché il giochino riesca (è l'istinto materno a costringerle ad abbandonare un combattimento in cui si sentono inferiori - nei giorni prima devono sottoporsi ad un'ecografia), le vacche si fiutano, si studiano, ballano un pò l'una attorno all'altra.
Poi improvvisamente partono, testa contro testa, sollevano terra e polvere, i profili protesi nello sforzo.
Ci sono battaglie che durano poche decine di secondi, altre dieci, quindici minuti: con le due regine che si spingono da un angolo all'altro dell'arena, travolgendo i pastori, a cercare la resa dell'altra.
La gente segue i match più sudati, palpita, applaude con trasporto, tifa per la vacca che ha portato il cugino allevatore, sceglie quella che secondo i propri criteri arriverà alla vittoria, appunta sul foglio i risultati degli ottavi.
La gente beve e mangia, chiacchiera col vicino, scambia una fetta di fontina con un bicchere di rosso.
Le regine intanto proseguono a combattere.

Nell'inserto de La Stampa di oggi, 24 pagine dedicate all'evento (!) e distribuito all'ingresso dell'arena, un allevatore spiega che per le regine "non c'è bisogno di usare la muleta rossa e la spada come i toreri spagnoli".
Tac.
Ecco il collegamento.
Ed eccoci sulla strada del ritorno a fantasticare: si diceva su queste pagine, qualche tempo fa, che in Italia manca la cultura taurina, quella cultura del toro lei solo imprescindibile per lo sviluppo di ogni forma di tauromachia.
Che il recupero della via e della tradizione italiana ai tori passi per Aosta?


(foto Ronda - Croix Noire, 18 ottobre 2009)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Extraordinaire photo.

Christophe

RONDA ha detto...

Merci Christophe!