mercoledì 18 febbraio 2009

Due orecchie a uno per Ponce




Quando il giorno muore e il sole infiamma ancora una volta la sabbia dell'arena, un nugolo di uccelli bianchi sbatte le ali sulle gradinate.
E' l'ora dei fazzoletti che danzano, l'ora in cui la folla felice reclama il primo trofeo.

- da Toros, di Jacques Maigne -

Tra i momenti di più intensa e vera compartecipazione e vicinanza tra il pubblico tutto e il torero, senza dubbio un posto privilegiato lo merita lo sventolio dei fazzoletti bianchi a chiedere un trofeo per il matador.
E' un'esplosione fragorosa a volte, un impercettibile click che libera come fosse molla una tensione tenuta repressa per tutta una faena, ed ora finalmente libera di esplodersi; è un crescendo impetuoso altre volte, un'onda che monta inarrestabile e contagia tutto quello che incontra sui gradini, fino a inghiottire tutta l'arena.
E' vero, quei fazzoletti bianchi sono uccelli che sbattono le ali, una cascata di fiocchi di neve che ammanta le gradinate, una candido e ritmico tremolìo della plaza de toros.
E quanto più quei fazzoletti sono espressione di un'emozione vera, di quel brivido unico che solo toro e torero insieme, insufficienti a sé, riescono a dare, di quella passione che unisce i gradini e la pista...quanto più tutto questo è vero, tanto più quelle pezze bianche diventano importanti, danno senso ad un'opera, fanno grandi le cose.
Eternizzano l'effimero.

Per queste ragioni da queste pagine censuriamo con vigore la leggerezza, ingenua o maliziosa a seconda dei casi, con cui il pubblico, in un numero sempre più elevato di plazas, agita il suo fazzoletto, a prescindere.
Quasi per dovere, o quasi come inalienabile diritto da esercitare avendo un paio d'ore prima pagato il proprio biglietto.
Come se aver partecipato ad una corrida da 7 orecchie faccia degli spettatori degli aficionados migliori.
Non aiuta nessuno questa spettacolarizzazione della tauromachia, e con essa anche e soprattutto la deriva calcistica che sta travolgendo la corrida, la riduzione di un atto irrepitibile e unico, che non ha pari nell'esperienza umana, in un dato esclusivamente statistico.
La castrazione di un gesto che per far sbattere le ali deve essere enorme e che viene regredito a puro e semplice score, nulla più di un tabellino.
E di conseguenza la corsa a leggere sui giornali o sui portali cosa ha fatto Ponce a Siviglia, quanto ha tagliato Tomàs a Barcellona, quante ne ha prese Perera al Puerto.
Come se quello che è successo prima, come se del confronto tra uomo e toro, tra la brutalità dell'istinto e la forza della ragione, non interessasse più niente a nessuno.
Conta solo il risultato.
Due orecchie e la coda.

Siamo poco indulgenti su questo punto, niente da fare.
Ci è capitato, certamente, di sbandierare il nostro, di fazzoletto bianco, e ci auguriamo di poterlo fare altre volte ancora.
Ma non meccanicamente e sempre, che altrimenti non avrebbe nessun valore.
Deploriamo questa abitudine nociva, questa mediatizzazione della corrida, questo moderno cedimento alle ragioni dello spettacolo a tutti i costi.
Gli olè di Las Ventas, gli applausi di Ceret o un'ovazione a Bilbao non fanno notizia forse, non strappano le nove colonne sul mundotoro di turno, ma conservano e restituiscono alla tauromachia quella dimensione così umana di comunione e passione che le migliaia di fazzoletti bianchi di Dax o Valencia, Nimes o Granada, stanno lentamente ma preoccupantemente erodendo.

(foto Ronda - arena di Arles)

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