domenica 8 giugno 2008

Fino a qui


L'eco del trionfo di José Tomas è arrivata fino qua da noi.
Oggi la pagina 15 della Repubblica era dedicata tutta all'impresa del Messia: nel pezzo, non esente da approssimazioni, si parla di arte allo stato puro e perfezione assoluta, tra le altre cose.
L'articolo è reperibile qui su Repubblica Extra ma è a pagamento, e suggeriamo di non sborsare nulla perché in realtà non è granché.

Nel frattempo sui blog e sui forum si continua ancora a parlare di quel giovedì, a Las Ventas: gli scettici vivisezionano i pochi e incompleti video disponibili su Youtube, i tomasisti fanatici propongono ormai la beatificazione, chi non c'era cerca di capire davvero cosa sia successo.
Chi c'era parla di un momento indescrivibile di trasporto emotivo collettivo, un buco nero della ragione che ha inghiottito i 23.000 presenti, catapultati in una landa di pura emozione.
Tra questi, un paio di amici: ci raccontano di come ancora non riescano a uscire dal ricordo di quel pomeriggio, di come anche i settori più intransigenti della plaza fossero rapiti e conquistati, di gente che si abbracciava e di molti che piangevano, di come per più di un'ora dopo la fine del tutto ancora la piazza di fronte a Las Ventas brulicasse di gente che mimava i passi del messia, di come per tutta sera nei bar attorno a calle Alcalà l'atmosfera fosse di eccitazione e incredulità, di fronte alle mille birre a celebrare la meraviglia.

Su internet intanto i biglietti per la seconda apparizione del divino a Madrid, fra qualche giorno, sono venduti a 600, 700 euro.
Ma questo non va festeggiato, che la tauromachia deve rimanere arte e rito accessibile a tutti.

ps: nei commenti a questo post, infilata lì per non appesantire la pagina, la traduzione di un interessante articolo pubblicato su La Razon (questo).

1 commento:

RONDA ha detto...

José Tomás: Las verdades del torero
(da La Razon.es)

Da tempo immemorabile un torero non aveva attirato tanta attenzione dei mezzi di comunicazione nazionali e stranieri, non per dibattiti pubblici o voracità speculatrice sulle sue opere e miracoli. José Tomás Román Martín, nato nel paesino della sierra madrilena di Galapagar, torero del popolo, è un genio che si può comparare solo con i grandi della storia del toreo, come Guerrita, Joselito, Belmonte, Manolete e Ordóñez. Su questo torero unico si è tessuto ogni tipo di leggende ed enigmi, fino al punto che c'è un'autentica ermeneutica josetomasista que trabocca dal taurino ed entra nella psicoanalisi, sfiorando le cose più spinose del cuore.
Chi è José Tomás? Né più né meno che un torero grandioso, ma niente più di questo. In un'epoca di rugoso sensazionalismo, di morbidi pollai mediatici, non si riesce ad accettare che il fascino esercitato da José Tomás riguardi esclusivamente la sua tauromachia al limite e all'agonia della verità. Siamo davanti a un torero con una potente attrazione per il vuoto, che ha concepito un'insolita tecnica offensiva per lottare contro il toro. Davanti all'accomodante espressione di altri toreri e restanti artisti, che si alleviano e disdegnano l'intensità per dare a pubblico e spettatori emozioni precucinate, il torero silenzioso scommette l'attacco al toro, sia buono o inadatto. Questo è il segreto del suo modo vibrante e profondo di toreare. Per questo non si accetta facilmente, da parte dei suoi sostenitori, che si tratti solo di un uomo in carne ed ossa, che non ha un'aureola mistica, ma una ferrea volontà di impegno con l'autentico e la natura selvaggia. E neanche lo tollerano i suoi detrattori, adesso fuggiti, che lo disdegnano perché soffre molte cornate. E come potrebbe essere altrimenti se sta sul filo della vita e della morte?
Forse tutto inizia da una visione che aveva il suo antico manager, Antonio Corbacho, che è senza dubbio autore del torero e del personaggio, quando cercò di assimilare nella sua idea del torero le regole del protocollo samurai, arrivando anche a raccontare che la sua lettura di riferimento era allora Yukio Mishima, autore giapponese che come si sa terminò i suoi giorni con l'harakiri. Evidentemente la solenne espressione di José Tomás legittima tutta questa serie di cabale sul disprezzo del corpo stile Juan Belmonte, secondo il quale per toreare bene bisogna dimenticarsi del corpo.
Torero di fulgore e purezza unica, José Tomás ha sviluppato una prodigiosa tecnica. Che gli permette di andare assolutamente di fronte a tutti i tori, quella che permette i voli di un capote, che allunga le embestidas in maniera abissale, per legarle a una serie incalcolabile di muletazos, e il cuore che aspetta sereno, come nella scorsa tarde del 5 giugno per estoquear nella fortuna di ricevere senza cambiare espressione. E, ovviamente, all'unico che interessa la tecnica è il toro, che si impegna come lo stesso torero. Il suo impegno etico, fortunatamente sempre più accettato, lo ha portato a non farsi coinvolgere nel carosello della fama, a non stare con i giornalisti rosa né ad andare in tv. Però tutto questo non è che il corollario di un atteggiamento nudo, quello di un vero torero. Che rivendica la sua dignità non ricattabile. Quella di un uomo che non ha bisogno di nascondersi dietro l'artista, visto che questo si manifesta solo nell'immensa solitudine della corrida. E così non può mai essere un torero per mediocri, per quelli che non vivono con la sua stessa intensità. Si è arrivati a scrivere che è un torero "che fa sentire paura". E che cos'è se non la lotta genuina del potere al potere, tra indomabile e artista!
Gran parte della curiosità sulla sua vita personale obbedisce sicuramente all'incomprensione che i pioneri dell'arte usano causare tra i lro contemporanei. E, di fatto, è un torero ammirato da altri artisti, con campagne e pubblicità di cui il torero non ha bisogno, grazie a sostenitori come gli ineffabili Joaquín Sabina, Albert Boadella o il buon aficionado, che è il tocaor Vicente Amigo. José Tomás è torero, il più grande. E, invece di analizzare la sua complessa tauormachia, o che è meglio, di emozionarsi con questi olè impazziti, diretti dalle budella, come quelli della storica tarde delle quattro orecchie, gli hanno appioppato vari saio, buoni e cattivi, per chi è stato definito in un libro recente come "torero da leggenda". Il caso è che i più anziani dicono che come lui non ha toreato nessuno. E questa è la sua verità. Non c'è altra leggenda che quella di un torero di splendida realtà. Nessuno sarà uguale dopo José Tomás. Come neppure lo fu dopo la chiarezza lottatrice di Joselito el Gallo, la barocca invasione del terreno belmontista, la quiete manolista, e persino il senso del legame dietro la bruttezza del Cordobés. E, come testimone, il giorno dopo l'apoteosi di Madrid, due toreri che seguono la stella dell'attuale genio hanno trionfato ne Las Ventas, Alejandro Talavante, gestito dallo stesso Corbacho, e Miguel Ángel Pereda, un torero dell'Estremadura che ha fatto sua la concezione tomasista con Paco Ojeda, un altro dei visionari che hanno fatto evolvere il toreo. E si torna a parlare di tori. E il rumore precede le sue future corride. E arriveranno nuovi aficionados a un'arte crepuscolare, ermetica, radiosa e rara come il toreo che si resiste a morire. Va per te, José Tomás!